Orme

Spesso, la mattina, saltava sulla sua bicicletta e pedalava senza una meta e, spesso, arrivava su quella spiaggia lunga e solitaria. Lui non amava l’acqua; non gli piaceva toccarla coi piedi né immergerci il proprio corpo dentro; si infastidiva al senso di bagnato addosso. Era così sin dalla sua infanzia. Nonostante questa sua repulsione, adorava camminare al fianco delle acque. Sapeva che la marea, a volte arrivava tranquilla e oleosa, altre talmente agitata che un mare di camomilla non sarebbe bastato a calmarla; però, non importa come si fosse presentata al mattino, avrebbe sempre regalato uno stravolgimento alla costa, tanto da renderla irriconoscibile nonostante la spiaggia, ad uno sguardo generale, fosse apparsa sempre la stessa. Lui per questo guidava la sua bicicletta senza meta ogni mattina; per arrivare lì e vedere quegli infiniti stravolgimenti che nulla cambiavano, ma che rendevano, ogni giorno, la sua passeggiata unica. Quella era stata una notte eccezionale, le acque avevano portato lunghi tronchi che si erano spiaggiati come balene confuse ed ora giacevano spogli tra il blu del cielo e il bianco della sabbia come grandi sculture della natura. Lui camminava avvicinandosi a questi colossi poi, come si fa con le opere d’arte, gli girava intorno a crearsi scorci impensati e da lì guardava la meraviglia che nasceva dall’incontro della natura ormai morta con la vita del giorno nascente. Fotografava per poter rivivere tale abbondanza e fermare al suo occhio la perfezione della natura cangiante. Quando il suo occhio si era saziato, riprendeva a camminare concentrando il suo sguardo sulle mille conchigliette che, mischiate alla sabbia bagnata, costituivano una palladiana scricchiolante. Ogni tanto si fermava e si abbassava sulle sue gambe per guardare più da vicino forme, incastri e colori. Il suo occhio era attratto dai luccichii metallici delle conchiglie crostacee come da una calamita; forse perché le sue iridi erano color grigio ghiaccio. E ancora fotografava. All’improvviso comparve qualcosa di inaspettato su quello sbriciolio a mezzo bagnato: un’impronta, un’impronta di daino che portava al mare! E poi un’altra ed un’altra ed un’altra ….lui non era l’unico ad amare le passeggiate in quel luogo. Un branco doveva essere passato da lì quella mattina presto o forse a notte inoltrata. Forse gli animali erano passati da lì solo per respirare una dose di iodio, oppure per giocare un poco assieme alle onde come a volte amano fare i delfini, oppure per imparare a nuotare. Preso da quelle impronte inattese si spinse più avanti con gli occhi appiccicati al terreno come un cacciatore in cerca di tracce. Poco più avanti si imbatté in una serie di impronte umane, chiare, profonde, stranamente appuntite; sicuramente appartenenti ad un uomo pesante che probabilmente ama le scarpe da tennis e le camminate solitarie sulle spiagge deserte. Poi individuò zoccoli di cavallo non ferrati; forse non solo ai daini piaceva nuotare la notte …. infine scoprì l’impronta di un cingolato, il grande animale di ferro venuto alla spiaggia per fagocitare radici e rami. Sapere di non essere stato l’unico essere su quella distesa di sabbia in quelle ore, lo fece sentire in comunione col mondo e questo era per lui come immergersi nelle acque del mare e nuotare. Quella mattina, si fece un bagno di impronte, riflessi, forme e colori; poi tornò con la sua bicicletta alla sua casa e si chiuse nella camera oscura per trasferire impronte e sensazioni dalla macchina fotografica alla carta e renderle eterne.