Sognando Andrea
Entrarono dalla porta di legno impiallacciato, una di quelle che non hanno né arte né parte e che puoi comprare in un qualsiasi grande magazzino. Quella era la sua casa e lui ne andava fiero; si vedeva dall’espressione del viso dell’ uomo basso e tarchiatello. Lei si trovò immersa in uno spazio verde tirato a grassello. Il verde pisello, venato di bianco e grigio, ricopriva ogni parete e ogni soffitto dell’appartamento e con la sua sostanza di campi e natura faceva a pugni con la dimensione dei locali, piccoli buchi attaccati ad un corridoio che girava buio intorno a qualcosa che non apparteneva al appartamento. La cosa le stonava, lei non capiva come lui avesse potuto scegliere uno spazio del genere per vivere e quindi colorarlo così di libertà. Non le tornavano i conti. Poi ci pensò, lui appariva giovane, anche se nel suo cuore lei lo sapeva suo coetaneo; così quella, forse, era stata una scelta economica obbligata data la sua età ancora croccante. Mentre lei cercava di appiattire l’incongruità, lui si perse a fare cose, distratto da tutti i suoi ospiti e lei continuò a girare per quella piccolissima casa, sola con la sua sensazione di soffocamento. Oppressa da tanta strettezza, constatò che lui era gentile con lei, particolarmente gentile. Lui vegliava su di lei; infatti qualsiasi cosa lui stesse facendo od ovunque lui fosse, lei si sentiva nel suo campo visivo. Che sensazione gradevole era! Pensò che ciò fosse dovuto al fatto che nonostante i trent’anni di lui, loro fossero amici da almeno cinquanta e cinquant’anni di amicizia portano a comportamenti del genere, ma non volle andare oltre con quel pensiero per via di quella piccola differenza di vent’anni non proprio canonica. Così continuò a perdersi nel verde pisello strizzato dall’angusto spazio, girò un angolo e si trovò davanti al suo albero di Natale. Lo aveva costruito usando alcuni tavolini bianchi a forma di quadrifoglio impilati con gli steli uno sull’altro che aveva poi posato su un normale tavolo bianco con le quattro gambe di legno. Ogni petalo dei quadrifogli risvoltava verso il basso; su ogni petalo lui aveva accomodato una serie di addobbi natalizi; così, chi guardava vedeva il petalo delle palline, quello degli orsetti, quello dei festoni, degli angeli bianchi e degli angeli dorati. Sembrava tutto appoggiato, quasi abbandonato per essere poi riordinato. Gli steli dei tavolini a quadrifoglio giravano sul tavolo sottostante e, ruotando, i petali si abbassavano ulteriormente e gli addobbi rotolavano verso il basso senza mai però cadere oltre il bordo. L’effetto era bellissimo. Lei volle toccare un petalo disequilibrando il movimento e si ritrovò con un orsetto blu in mano, che frettolosamente cercò di riporre al suo posto mentre l’albero continuava a girare. In quel momento lui sbucò da un locale attiguo e le disse: “ Ti preparo da mangiare una minestra.” Lei gli sorrise e scusandosi gli disse che non era digiuna, ma sazia per la cena già consumata. Gli occhi di lui si illuminarono, e lei ne fu confusa, perché non capiva. Poi lui le disse: “ Bene perché a me non piace la minestra. Allora ora posso mangiare alla mia maniera.” Poi rise, le strizzò l’occhio ed andò in sala, che era pure piccola piccola. Lì un grosso tavolo rotondo troneggiava attaccato ad un frigorifero dalle dimensioni impressionanti. Lei lo seguì e quando vide l’ambiente non pensò tanto alla stranezza delle dimensioni degli oggetti, quanto al perché lui tenesse il frigorifero in soggiorno e non in cucina. Lui le fu al fianco ed aprì il frigorifero chiacchierando tranquillamente. Tirò fuori un vassoio Liberty di circa un metro e venti di diametro ove erano sistemati piatti e zuppiere coordinati pieni dei più disparati cibi. I colori dei cibi giocavano con tutti i riccioli dorati e sforacchiati della ceramica. Lei strabuzzò mentre il vassoio risposto sul tavolo lo occupò completamente. Lei ancora guardò incredula; … che oggetto meraviglioso era quello. Proveniente da un’altra era, appoggiato nel anno duemiladiciasette creava una frattura di tempo e spazio sorprendente da vivere. Col suo sorriso sempre ben stampato in viso, lui si sedette, ruotò il vassoio, e scelse il cibo da ingurgitare, prese il piatto e se lo piazzò in grembo. Toccò ad un hamburger con insalata e pomodori. Poi le disse: “ Così posso sempre scegliere cosa mangiare.” Lei gli sorrise indietro affascinata da tante stranezze. Mentre lui mangiava, fu attratta da alcuni documenti che riguardavano la sua propria vita e che erano arrivati a lui probabilmente a causa del suo lavoro. Nel suo cuore, infatti, lo sapeva avvocato. Con lo sguardo gli chiese se poteva darci un occhiata, lui le disse: “ Solo perché sei tu.” Venne ora di uscire. Lui le appoggiò un braccio sulla schiena e la accompagnò dolcemente attraverso una porta scorrevole. Così lei si ritrovò con lui in un montacarichi che saliva lento al piano di sopra. Lì attraversarono due ambienti, piccoli pure loro, la camera di lui e una specie di studiolo, entrambi disordinatissimi, e poi si ritrovarono di nuovo davanti alla porta di legno impiallacciato, quella che non ha né arte né parte e che puoi comprare in un qualsiasi grande magazzino. Uscirono. Lei nel suo intimo si chiese: “ Ma entrando la casa non era tutta su un piano? perché ora, uscendo, aveva invece due piani? ” Lui parve non dare importanza a questa piccola diversità. Forse, entrando ed uscendo spesso, ci si era abituato. Lei lo guardò di nuovo e fece un ultima riflessione: “ E pensare che quest’uomo per lavoro fa il soldato ….”.
Poi fu la notte….forse normale.