Chemio 5
Ci sono momenti in cui è più facile capire cosa sia la vita perché, per una serie di circostanze concomitanti, essa ti si mostra in modo inequivocabile.
Mi è capitato anni fa di divenire cliente di un reparto di rianimazione e lì, per la prima volta, mi è stata data una dimostrazione di cosa in fondo fosse la vita.
Essa non è altro che un’equazione bilanciata. Se la parte che precede l’uguale corrisponde a quella che lo segue sei viva, se non lo fa sei morta. In rianimazione sono dei maestri nello scrivere la tua equazione e nel bilanciarla velocemente. Nel mio caso era un “h2o” di troppo che mi stava uccidendo e loro hanno lavorato nel mio corpo mettendo e togliendo fino a far tornare uguali le due parti dell’equazione. Così quando sono uscita di lì avevo imparato una grande lezione: la vita si riassume in un “uguale”: ciò che sta di qui deve corrispondere a ciò che sta di là … cosa che, se ci pensate bene, non è altro che la definizione di equilibrio.
Tempo prima invece mi era capitato di imbattermi nella morte altrui; Io di lei non conoscevo nulla e vivendola per la prima volta ho imparato che è un’emozione cui non è mai stato dato un nome: due occhi sofferenti che si girano verso di te, un sorriso difficile che ti sussurra “grazie Sarah” ed un ultimo respiro profondo, faticoso, simile ad un rantolo prolungato che lascia la testa un poco ribaltata all’indietro e la bocca aperta e che fa battere il tuo cuore in modo incontrollato senza darti modo di capire cosa ti stia succedendo fin quando non ti rendi conto di essere in presenza della morte ed allora ti quieta e ti mostra che tu non appartieni a quel mondo nuovo. Così non puoi che alzarti, girarti ed allontanarti. Ricordo che nel mettere distanza tra me e la morte ho sentito forte il senso della vita; era come una immensa spinta interiore a fare esperienza di tutto a partire da subito. Quello che dopo tanti anni ancora mi resta è l’”a partire da subito”… qualcuno, se non erro, lo ha chiamato “carpe diem”.
Poi mi è capitato di dare la vita, perché ho partorito mio figlio tredici anni fa, ma quell’esperienza non mi ha insegnato molto di più in fatto di vita … forse perché ero troppo stanca e mi sono addormentata, oppure perché per capire la vita devi sfiorare la morte e da quell’evento la morte è stata assai lontana.
Ultimamente mi sono ammalata di cancro ed ancora una dimostrazione di cosa in fondo sia la vita mi è stata data dai medici. Me ne sono resa conto l’altro ieri quando dopo tre giorni di febbre molto alta ho pensato che sarei scivolata via dalla vita per un’influenza se non avessi fatto qualcosa, così ho cercato l’oncologa e lei, dopo aver controllato il tipo di chemio che sto facendo e la giornata in cui sono rispetto ai dosaggi, mi ha dato un tipo specifico di antibiotico. Questa volta la mia vita non è un’equazione da bilanciare, bensì una morte da assistere. Ho scoperto che la chemio altro non è che un antibiotico dalla potenza di una bomba atomica che viene lanciato in terra nemica per uccidere il più possibile. Uccide alleati e nemici senza fare distinzione. Funziona esattamente come l’antibiotico, in realtà uno sputacchio rispetto alla chemio, che mi ha fatto passare la febbre in tre ore e mi ha restituito la vita sostituendosi lui alle mie difese immunitarie ormai inesistenti. Se la chemio sarà in grado di uccidere quella parte di me degenerata senza ammazzare troppo della mia parte sana, io vivrò, se non sarà in grado io non vivrò. Che la vita significasse saper far morire io l’avevo già imparato con il mio divorzio, però si trattava di lasciar morire pensieri e sentimenti; infatti per poter sopravvivere io ho dovuto far morire l’amore che provavo per mio marito. Ma ora ho a che fare con la morte di parte del mio fisico; la ciuccia sinistra per l’esattezza. Se voglio vivere la ciuccia deve morire. A guardare sta cosa da un altro punto di vista mi viene da chiamarla vecchiaia: parti di fisico che si atrofizzano e smettono di funzionare.
Così io entro nei miei secondi cinquant’anni sapendo che la vita significa equilibrio, che significa saper addentare senza aspettare, che significa saper lasciar andare pensieri e sentimenti, ma soprattutto che significa voler permettersi di invecchiare.