I due cappelli
Era un cappello nato bello; spesso faceva coppia con un soprabito tortora, del quale conosceva intimamente solamente il bavero che sfiorava nelle fredde giornate di vento generando un fascino maschio. Oggi, però, il sole regnava sovrano nel quarto cielo e sulla terra, cosi il soprabito era rimasto a dormire nell’armadio tra giacche e pantaloni mentre lui, invece, respirava aria primaverile, conscio di avere ancora appiccicato addosso un poco del fascino di cui era invernale artefice. Era un cappello capace di molte forme; lo stare per lui significava parola mostrata ed ora si trovava tra le dita dell’uomo, leggermente ricurvo verso il basso quel poco che basta ad indicare la propria immediata dipendenza dall’altrui reazione. Non che fosse in gioco la vita o la morte, ma sicuramente la felicità o la tortura. Questo esprimeva quel suo stare ritto, ma un poco all’ingiù. Aveva di fronte una dolcissima falda di paglia, imbellettata da un nastro verde ed una rosa purpurea che pareva giocare a nascondino con la timidezza. Era fresca e profumata, ancora per nulla sgualcita dalle ore calde della giornata. Aspettava curiosa il prossimo istante, il momento di là da venire, come se in esso vi fosse racchiuso tutto il senso del suo futuro. Per questo pareva sorridere, mentre si abbandonava nelle mani della ragazza. Anche lei stava protesa un poco all’ingiù perché’ anche lei dipendeva da ciò che sarebbe stato. La sua era l’attesa di un’ azione. Aspettava quel unico movimento audace che avrebbe spazzato via la sua reticenza. E fu l’attesa che il cappello colse con i suoi sensi; solo questo lui aspettava. L’uomo baciò la donna. I cappelli caddero a terra rotolando uno sull’altro. E’ cosi’ che nacque la felicità.