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Addio

Rigava e tornava a rigare quella giovane guancia una goccia, gemma di puro dolore, trasparente e pura, gioiello e suggello dell’amore che tutto chiede e tutto dà. Lui, forte e muscoloso, tagliato per lo sport e la fatica, uomo che tutto parlava di potenza e virilità quella mattina e quel pomeriggio e poi ancora quella sera era crollato schiacciato dal peso di una lacrima che non si fermava: lei era partita lasciandolo dietro all’impenetrabile nastro dell’aeroporto di Malpensa, quello di fianco alle scale che salgono ai ristoranti. Si erano stretti forte, aggrappati agli ultimi momenti del loro amore fisico, ancora incapaci di lasciarsi andare alla memoria. Poi lei aveva attraversato l’oceano con un battito d’ali lasciando lui incollato al pavimento, impietrito, incapace di altro se non di cercarla con l’occhio oltre le divise del personale di terra, oltre l’orizzonte. Traccia di lei quella goccia a solcare il suo volto ed una promessa. Sì, certo si sarebbero rivisti: il loro viaggio assieme era solo all’inizio; sì certo avevano ognuno mille cose da fare: università da frequentare, risultati da ottenere, mondi da scoprire; sì certo…, ma ora sopravviveva solo quella stilla bagnata, esplosione vulcanica di vuoto, big ben del nulla da vincere, paralisi eterna. A poco serviva la sua forza fisica, a nulla la sua potenza ed i suoi muscoli, inutile la sua umanità. Il pianto era invincibile. Allora lui lasciò scorrere le sue lacrime chiedendo a lei di raccoglierle nella memoria a testimone del suo amore grande e lei lo sentì e le raccolse. Lui si addormentò mentre lei guardava le sue lacrime sorridendo innamorata. E’ così che il tempo tornò a scorrere, l’universo a vivere e lui a respirare. E’ così che lui vinse se stesso.

L’angelo dell’Amore

L’aveva incontrato solo una volta; Lui era intento a fare ciò che doveva fare curvo sul suo lavoro quotidiano senza badare a chi o cosa gli stesse passando accanto. Anche Lei era intenta nella sua vita e passò a fianco a quel giovane uomo accoccolato con la leggerezza della giovinezza. Solo una volta oltrepassato Lei lo sentì. Era come una forza che imponeva al suo corpo di voltarsi; si arrese e si voltò proprio mentre lui alzava gli occhi nella sua direzione. Si guardarono senza vedersi veramente; uno sguardo che parlava più ad ognuno di se stesso che dell’altro. Lei ne rimase sconvolta. Non si era solo girata, gli aveva regalato la sua anima e quasi certamente il suo corpo.

Poi era capitato di incontrarsi e scambiare anche qualche parola, ma un senso di bizzarro era cresciuto in Lei perché, essendo estranei, si parlavano da estranei, ma, dentro di sé, Lei non riusciva a percepire la differenza tra il proprio corpo e quello di Lui. Era come se la realtà scomparisse per lasciare emergere un mondo fatto solo di loro due. Il dentro era l’opposto del fuori e Lei ci stava seduta in mezzo. Era difficilissimo. Che fare? Ci pensò la vita: troppo diversi non si incontrarono quasi più.

Ma la loro storia non finì lì. Perché smisero di incontrarsi di persona ed iniziarono a frequentarsi la notte in sogni ove non parlavano la lingua del sonno; il loro vocabolario apparteneva alla vita. Qui si incontrarono di nuovo una prima volta, ponendo molta attenzione l’uno nell’altra; si regalarono il tempo di conoscersi reciprocamente e piacersi per mille motivi, non sempre logici; chiacchierarono di mille cose senza che le differenze tra loro riuscissero a recidere ciò che era nato da uno sguardo non dato. Lui la andava a trovare presto la mattina e le si sdraiava accanto svegliandola con gentilezza; oppure la trascinava via da quel letto quando ancora non si era addormentata per portala in posti mai visti prima, ma ormai familiari ad entrambi in quel sonno vissuto.

Nel sonno si amarono fisicamente molte volte regalandosi sensazioni sconosciute o conosciute; assieme arrivarono a fondersi nel piacere senza mai sentire il desiderio di dover chiudere gli occhi perché quegli occhi erano già chiusi. C’erano solo loro due senza la vita vera; quella ove certe cose non avvengono mai. Lì tutto avveniva ed anche di più in un rincorrersi di felicità che durava semplicemente il tempo del sogno. Poi Lui volava via portato da bellissime ali bianche salutandola con un bacio senza tempo; Lei lo guardava allontanarsi con una luce nuova negli occhi.

Nella realtà, fuori dal sogno, capitò che si incontrassero ancora; sempre estranei si trattavano con una familiarità rara forse consci entrambi che nel mondo ove l’astro maggiore non è il sole la loro era un’altra storia.

grown up and grown down

Cresciuta adulta viveva la vita tranquillamente quando un giorno al tramonto mischiato alla folla, quel giovane corpo, asciugato da sole e sale, l’aveva di colpo Scresciuta fino a riportarla alla soglia dell’ adolescenza.
Lo aveva solo intravvisto capendo subito che quella era la bocca, quelli i capelli, quelle le braccia, quelle le cosce che già in sogno aveva accarezzato.
Era bello, così maledettamente bello.
Smise tutto e andò da lui.
Ad ogni passo verso quel sole le caddero gli anni di dosso come cadono i petali al vento.
Era come essere attratti ad un punto magnete cui non si può resistere tramite una forza lieve e potentissima assieme che tira là.
Lui era la sua gravità.
I muscoli abbronzati cancellarono il suo peso e lei si seppe di nuovo leggera.
Il sorriso sicuro le riarse la bocca fino a rendere difficile ogni dialogo.
Non le importavano più le parole, Lei voleva solo ballare e saltare e ridere e toccarlo. E poi ricominciare.
Il futuro era tutto ancora da vivere. Il presente era di nuovo suo.
Per quindici passi perse il tempo e trovò l’amore.

Il vecchio che amava i libri

La vita gli era scivolata nei libri da un tempo tale che la sua mente aveva ormai dimenticato.
Ma come è possibile ricordare quando la ricerca si trasforma in risultato? Il desiderio in felicità?
Da giovane il suo spirito entusiasta gli aveva donato una doppia vita; una nel mondo della volontà e delle azioni dentro al tempo scandito ed una seconda nel mondo dei significati dentro alle parole scritte ove il tempo è solo artifizio.
Ma la sua vita scandita era precocemente sfumata sotto al peso della fatica, si era avvizzita, come una prugna secca, fino ad arrivare a dissolversi, come un corpo morto, nella vecchiaia. Non era stata una vita vuota o sfortunata; era solo stata una vita ordinaria nella quale allo sforzo non aveva quasi mai corrisposto la soddisfazione, e la delusione aveva così preso sempre più spazio allagando i desideri finché questi si erano sciolti come il sale in un mare di coscienti rinunce, necessarie, ai suoi occhi, per mantenere integra quel poco di energia rimasta. Poi era stato il turno degli acciacchi di salute che avevano ingigantito il senso di fatica mortale e schiantato la sua quotidianità contro quel grande platano che è l’inattività.
Eppure lui era un uomo felice.
Il suo fuoco, se pur affievolito, non si era spento nelle rinunce. Troppo grande era la riserva di legna ove il tempo era artifizio.
E lì, alla luce tremula di una candela, i desideri erano diventati contagiosi a tal punto da rendere l’uomo immune alle delusioni ed all’abitudine. Le parole erano diventate lo spazio ove lui sapeva la propria esistenza capace di accumulare energia come una molla compressa e di rilasciarla sotto forma di vita senza il bisogno di alcun fatto compiuto o di altro essere umano.
Si sapeva uomo vorace e saziava la sua fame con la conoscenza e, come dopo ogni pranzo che si rispetti, lui, poi, sentiva le proprie viscere appagate di senso ed il cuore sazio di amore.
Questa era diventata la sua vita e così lui ora passava le sue gornate da quando, quel giorno dimenticato, aveva trasformato la ricerca in risultato e il desiderio in felicità.

Adorna d’Amore

Adorna d’amore la sua anima si era liquefatta in mille rivoli argentei.
La mano tesseva i colori dell’arcobaleno mentre accarezzava il creato.
Sostenuta dalla terra nel chiaro cielo al caldo fuoco come una rugiada d’acqua abbeverava il nocciolo dell’amore
E sola annichiliva dentro alle messi gialle di secca arsura
E sbigottiva accecata dalla luce riflessa dei filiformi liquidi di vita
che un’anfora vuota e piena affrancava da ogni suo volere assieme a ogni suo bisogno.

I tre amici

Era una giornata di sole e l’aria aveva il profumo della tranquillità. Pareva come stare dentro a una panetteria appena dopo la cottura del pane. Le loro chiacchiere serene saturavano di felicità quella strada asfaltata, troppo grossa per essere di alta montagna.
Loro erano lui, un ragazzo magro dall’ aspetto corvino; la sua fidanzata straniera e lei l’amica incontrata per caso molti anni prima, che aveva conquistato le profondità del suo cuore senza però provocare in lui l’amore. Stavano andando a fare una scampagnata fino su al ristoro; quello bianco con le finestre di legno e gli scuri rossi sulla curva con la cascata.
Erano così giovani!
La’ si fermarono a mangiare un panino con una birra bionda ciascuno, seduti all’aperto per respirare tutta quell’aria serena senza capire che loro ne erano la causa. Dopo il caffè, le due ragazze salirono in macchina per arrivare ancora più su sulla cima della montagna; là dove crescevano quei fiorellini blu grembiule delle elementari che tanto adoravano. Lui semplicemente seduto le guardava allontanarsi assieme. La straniera si mise alla guida mentre l’amica le si sedeva a fianco. Acceso il motore, l’auto partì. Chiacchieravano amabilmente senza badare troppo alla strada, quando l’occhio dell’amica cascò sul dirupo di fianco alla curva che stava arrivavano. Lei pensò che la macchina fosse troppo veloce; si chiese, anche, se la straniera sapesse cosa stava facendo, ma non fece in tempo a finire il pensiero che l’auto imboccò la curva con una traiettoria troppo larga e troppo veloce. Fu un attimo e furono nel vuoto. Era un dirupo profondissimo, guardando sotto capirono che non avevano scampo. Quel lungo volo le avrebbe uccise. Precipitarono coscienti della loro morte. Poi fu il nulla.
Quando tornò in sé stava camminando a fianco all’amico; si sentiva molto stordita. Rammentava il dirupo, la caduta e non si capacitava come potesse ora semplicemente camminare al fianco di lui. Lo guardò. Era triste; il suo sguardo aveva perso la luce; era come se fosse sul punto di dirle qualcosa che, però, gli stava costando uno sforzo infinito e lo invecchiava.
Lei conosceva a fondo l’amico e, in quello sguardo, tutto le fu chiaro. Allungò una mano verso di lui, gli sorrise e gli disse: “Sono morta vero?” lui non alzò gli occhi, rispose semplicemente: “Si’”. Continuarono a camminare affiancati. Aveva ancora un domanda da fare. “E’ morta anche lei?” “ No si è incredibilmente salvata…” Lui si girò verso di lei con il viso stravolto dal dolore, si abbracciarono forte e più che una stretta quello fu un avvinghiarsi l’uno all’altra per non lasciarsi andare. Senza pronunciare parola lei gli disse: “Sarò sempre con te” e lui a lei: “Non ti dimenticherò mai.” Poi l’aria tra loro si ispessì, i loro mondi si separarono, i due amici si persero.
Lui sposò la fidanzata straniera e costruì per lei una grande fazenda. Gli anni passavano e lui ogni mattina portava alla moglie dei fiori freschi e con i fiori le regalava sorrisi e abbracci ed il suo cuore felice. Spesso faceva per lei il buffone con quei fiori in mano. Ma il sorriso della moglie si era perso nel tempo ed ora non gioiva più dell’amore di quell’uomo maturo che aveva avuto tanto successo. Voleva da lui infinite premure, ma non riusciva a vedere quelle che quotidianamente le dava e così non ricambiava mai con una gentilezza. Pretendeva continua attenzione ai suoi discorsi colorati di superficialità. Il marito si annoiava a quelle mille parole, ma, per non dispiacerle, obbligava i suoi sottoposti ad ascoltarla al suo posto e rispondere con interesse a quelle parole vuote mentre lui faceva altro. L’amica, al di là dell’aria spessa, vedeva lo sforzo d’amore di lui e la grande infelicità di lei mentre la loro vita passava. Vedere respinto l’amore di lui in quel modo le procurava profondo dolore come se un pugnale le stesse aprendo il cuore. Un giorno, esausta da tanto dolore, tentò per lui tutto ciò che poteva, attraversò l’aria spessa ed andò a parlare con lei. Le chiese perché non riusciva a vedere il profondo sentimento di lui. Perché aveva preso a trattarlo a quel modo. Per tutta risposta la donna non più giovane tirò fuori una vecchia ciotola tutta sbiadita che una volta era stata colore del cielo di notte. Lei guardò quell’oggetto consumato dal tempo e le parve di riconoscerlo; in qualche modo le era familiare. “E’ tuo; glielo hai regalato tu. Non lo vuole buttare ed e’ con noi da sempre”. Disse la moglie tra forti singhiozzi. “Ma è una ciotola per far bere il cane, non ha valore! Perché è così importante che lui la butti?” le chiese lei. “Lui non ti ha mai dimenticata e ti porta nel suo profondo”. L’amica questo lo sapeva, lo aveva sempre sentito. Allora le chiese di nuovo:“Perché non riesci a ricomprendere in te l’interezza del suo cuore? Non puoi accarezzare anche quella parte di lui che mi tiene per mano?” La donna straniera non rispose, ma per tutta risposta iniziò ad urlare isterica.
No, non poteva farlo!
L’amico, sentite le urla della moglie, corse irrompendo nella casa spaventato. “Che c’è, che succede?” erano anni che lei non si trovava così vicino a lui. Infastidita e spaventata da quella donna ormai estranea corse tra le braccia di lui e lo strinse forte. lo fece senza pensare, un istinto. Lui sentì l’aria cambiare spessore. Apri le braccia lunghe distese e, frastornato, disse guardandosi in giu’: “Ma che mi succede?” Poi capì. Chiuse le braccia a contenere quell’aria ispessita, abbassò lo sguardo e con un sorriso a metà tra lo stupito ed il felice chiese: “ Sei tu, non è vero?” “Sì” lei rispose. Lui allora chiudendosi a cerchio più stretto: “Io ti ho portato sempre con me”.
Si tennero stretti, ognuno sul limitare del proprio mondo, senza più paura che quell’abbraccio potesse finire.

L’amore algido

Lui possedeva due tesori; uno era se stesso, l’altro i suoi figli. Era un uomo nato brutto, nulla del suo fisico attirava l’interesse delle donne, se non forse l’altezza. Lei ricordava, molti anni prima quando l’aveva appena conosciuto, il senso di fastidio che l’incontro con lui le aveva procurato proprio a causa di quei lineamenti strani. Era stata la necessità del lavoro a obbligarla a tornare a vedersi con lui, altrimenti mai lei si sarebbe nuovamente avvicinata a quell’uomo. Poi dentro al lavoro lei scopri’ il vero valore di quella creatura alquanto spigolosa. Capì che il corpo fatto a quel modo era solo la protezione umana di un’essenza maschile rara di cui forse nemmeno lui era conscio. La rarità stava nella luce gioiosa con cui lui affrontava la vita; una mente intelligente e malleabile si accostava ad un cuore profondo e aperto; in questo modo lui fronteggiava la sua difficile vita, alquanto più difficile di quella di molti. Ma queste caratteristiche non concludevano quell’uomo raro. Nonostante l’estrema magrezza del corpo, lui era infatti molto più ingombrate, lo era tanto da andare oltre lo spazio fisico; lui entrava direttamente negli strati sottili dell’universo. Un pezzo di lui dimorava infatti alquanto vicino a Dio. Sì lui era un uomo dotato di anima, bella e solare e birichina. Questo era il suo primo e profondo tesoro: un corpo rinsecchito che conteneva un uomo palpabile. Lui si era mostrato a lei così un giorno per caso e da allora lei lo custodiva avvolto dalla loro amicizia dentro al suo cuore. Era un’amicizia lasca che permetteva ad entrambi di assaporare la libertà della propria vita; ognuno dei due con un polpastrello impiantato nell’altro, così di sicurezza, per sapere sempre dove andare quando l’affinità o la fatica chiamava. Proprio quell’amicizia libera le aveva fatto scoprire l’altro suo tesoro. Un numero elevato di figli che lasciava assaporare l’abbondanza della sua vita e che molto contrastava con le sue carni scarne. Lui in questo le era contrario, perché lei invece aveva carni abbondanti ed una vita in alcuni sensi alquanto limitata. Accadeva che si ritrovassero tutti assieme e così lo sguardo di lui si ampliava a ricomprendere il figlio di lei e lo sguardo di lei accarezzava i figli di lui. I suoi maschi erano ancora nell’età dell’accudimento, le femmine invece appartenevano già al mondo che si centra sui dialoghi, per le relazioni, e che ha in sé il seme dell’indipendenza per quel che riguarda se stessi. Dietro agli sguardi reciproci accadevano poi gesti e seguivano parole che legavano i cuori. Sì quella era un’amicizia grande perché dentro ci stava tutto di loro. Lui era paterno con il figlio di lei ed il ragazzino lo guardava con affetto misto ad ammirazione, lei era materna con i figli di lui, dava ai maschi attenzioni di servizio per accertarsi della loro serenità ed incolumità e dava alle ragazze tempo e chiacchiere per avvicinare la sua femminilità matura alla loro nascente e loro le restituivano affetto ed interesse. Il loro era un rapporto rivolto oltre se stessi e capace di accogliere tutto dell’altro. Un giorno lui le disse che aveva una fidanzata, per un poco aveva voluto tenersela per sé, ma ora era tempo che anche lei sapesse. Quando lui smise di raccontare, agli occhi di lei apparve una fidanzata comoda, straniera di nascita e di vita, poco impegnativa e sempre bella come lo sono le fughe d’amore che non impegnano la vita ma saziano i sensi. Lei era felice che nella vita dell’amico vi fossero momenti di pura bellezza senza pensieri, lui se lo meritava. Poi col tempo le parole di lui cambiarono e la fidanzata diventò compagna nella sua bocca; no questa non era più una fuga d’amore era qualcosa di molto più profondo anche se ancora la forma era quella della fuga. Per anni lei seppe della compagna senza però mai avere occasione di incontrarla finché un giorno capitò, come capitano gli appuntamenti non programmati. Lei era curiosa di conoscere la donna che occupava il cuore del suo amico, donna sconosciuta, ma famigliare. Era curiosa perché sentiva un legame verso quella sconosciuta che nasceva dal profondo del rapporto con lui: se per lui era importante lo era anche per lei proprio per via di quell’amicizia aperta che tutto accoglieva. Passarono un fine settimana assieme con tutti i ragazzi; anche la compagna aveva infatti una figlia, così di ragazzini ce ne era a sazietà. In questo modo lei toccò con mano la loro forma d’amore. Era bella quella donna straniera, non oggettivamente bella, ma aveva tratti dolci e uno sguardo ammagliatore; si muoveva lentamente ed era lieve nei sorrisi e nei dialoghi. La parte maschile di lei capì perfettamente perché l’amico si fosse legato a quella donna che chiedeva attenzioni e tenerezza. L’amica però osservò con sorpresa la modalità con cui la compagna chiedeva attenzioni. Lei lo faceva togliendolo dalle situazioni, il suo era un amore esclusivo ed esigente. L’amata amava l’amico di un amore annientatore che si ripiegava su se stesso invece di aprirsi al mondo; un amore incapace di accogliere ciò che va al di là dei propri desideri. Quello era un amore che dietro alla dolcezza nascondeva la pretesa. Incuriosita da questa modalità, l’amica spostò l’attenzione sui ragazzi; guardò come la compagna trattava la figliolanza, ma si accorse che la compagna non trattava affatto la figliolanza, ci stava semplicemente accanto con il suo sorriso dolce, non un gesto verso di loro, non una parola; che differenza con lui che accarezzava la figlia di lei con gesti, parole ed attenzioni con la stessa modalità paterna che aveva verso i propri figli e verso il figlio dell’amica.
Lei pensò che no, non era la forma d’amore che voleva toccare nella sua vita; no non era la forma d’amore che si meritava quel tesoro d’uomo. Poi pensò anche che no non era la forma d’amore che si meritavano quei tesori di figli. Si affaticò molto a vivere l’amore del suo amico perché non risuonava di libertà e lei sapeva se stessa libera e pure il suo amico libero e così educatamente si sottrasse. Sola, nell’intimo della sua casa pensò a quanto lavoro aspettava il suo amico per fare di quell’amore da luna di miele un amore eterno. Sempre sola nell’intimo della sua casa lei aggiunse una categoria alle forme d’amore che conosceva: l’amore algido.

Il padre e il figlio

Era nato bellissimo, un piccolo bambino perfetto. Venuto al mondo talmente veloce che la fatica del parto non aveva lasciato traccia sul suo corpicino indifeso. Biondo e roseo si era subito addormentato tranquillo, avvolto nei lenzuolini del piccolo letto su ruote. I suoi occhi si erano chiusi e le labbra rilassate mentre lui aspettava dormendo che il mondo si aggiustasse quel poco necessario a regalargli uno spazio dentro al suo pulsare. Le braccia materne, a poche ore dalla sua nascita, lo avevano poi alzato al cielo; quattro volte, una per direzione. Era stato alzato, neonato, per essere presentato al creato; era stato alzato, figlio, per ringraziamento del dono di vita arrivato insperato; era stato alzato, creatura, per chiedere una vita felice e prospera; era stato alzato, anima, per essere unito all’universo stellato. Poi era stato abbassato, abbracciato e baciato per indicargli il suo luogo d’amore nel mondo, sua madre. Anche braccia più forti lo avevano tenuto stretto, erano quelle dell’uomo che con la sua nascita era divenuto papà. Le labbra del piccolo avevano imparato a sorridere e, probabilmente, gli era piaciuto molto copiare quella smorfia dai volti adulti perché da allora non avevano mai più smesso. Cresceva felice, ricciolo e solare, protetto dagli occhi amorevoli di quella madre che abbracciava il mondo e lo trasformava per renderlo a misura dei suoi due occhietti svegli che chiedevano vita. Il creato si lasciava toccare quando lo incrociava perché lui era un bimbo dolce e vispo e curioso e bello oltre il normale e, così, ovunque mettesse i suoi piccoli piedi contaminava i luoghi d’amore, come fanno i papaveri quando coi loro calici colorano a rosso il mondo senza che la terra lo voglia. Così lui cresceva molto amato. Ma, un giorno, il padre decise che quel luogo d’amore con al centro i due occhietti vispi non era più abbastanza per la propria felicità e prese la direzione di un’altra vita. Non fu facile per la madre spiegare a quel piccolo volto sorridente che tutto chiedeva alla vita perchè le due braccia più forti al mondo non sarebbero più state lì a proteggerlo e a rendere i giorni a sua misura. Il mondo immutabile fatto d’amore si frantumò agli occhi del bimbo che, a soli cinque anni, dovette imparare a vivere sapendo che altro riempiva le giornate del suo papà; ma quel piccolo bimbo non chiuse il suo cuore alle scelte del padre. Lui continuò ad amarlo, per lui era sempre il suo super papà. Gli anni passarono, ed il padre approfondì i solchi di quella vita parallela che solo ogni tanto si piegava ad accogliere il proprio figlio. Un giorno di fine Gennaio arrivò una sorellina. Quando la piccola stava per nascere il bimbo, ormai ragazzino, disse a sua madre che non era una vera sorella, ma una mezza sorella. La madre ancora una volta abbracciò il mondo prima di restituirlo a suo figlio e gli domandò: “Tu sarai in grado di darle solo mezzo amore?” Il ragazzino rispose che non sapeva come tagliare l’amore a metà, così la madre gli disse: “Allora lei sarà un’intera sorella perché intero sarà l’amore che saprai donarle”. Il primo compleanno della piccola cadde di giovedì, unico giorno della settimana in cui la vita del ragazzino tornava a toccare la vita del padre. Il padre però disse a suo figlio che quel giovedì non lo avrebbero passato assieme perché lui doveva andare dalla sorella e festeggiare il suo compleanno. Il giovedì il ragazzino chiese alla madre se il padre quando era piccolo usasse passare i compleanni assieme a lui. La madre ebbe un sussulto e gli chiese se fosse proprio necessario rispondere a quella domanda. Il ragazzino però pretendeva una risposta e la madre dovette decidere tra verità o falsità. L’amore materno non voleva ferire il cuore del ragazzino già troppe volte amputato; ma quello stesso amore non voleva raccontargli bugie. Lasciò che le parole uscissero da lei senza pensarle e si ascoltò parlare: “No amore non c’è stato un tuo compleanno al quale papà abbia voluto essere presente. Nemmeno il caso lo fece mai capitare.” Questa volta la madre non riuscì ad abbracciare il mondo prima di restituirlo a suo figlio forse perché era troppo stanca e provata. Vide davanti ai suoi occhi il sorriso sul bellissimo viso del figlio spegnersi, la testa abbassarsi e le spalle stringersi nel dolore già molte volte combattuto. Guardandolo lei non riuscì a non pensare alla sua sorellina che si stava scaldando d’amore nelle forti braccia del padre mentre il fratello perdeva il sorriso. Uscì, là dove anni prima aveva alzato il proprio figlio al cielo, ma questa volta le braccia si irrigidirono contro i fianchi e i pugni si chiusero stretti in un perché urlato dritto al creato. Le mute lacrime del suo cuore bagnarono la notte stellata mentre il figlio nel letto combatteva l’ennesimo fortissimo mal di testa che il bacio di mamma ormai non riusciva più a far passare. Lei chiuse gli occhi regalando alla notte l’immagine del sorriso bambino scomparso dal volto del figlio; pregò le stelle di riportarglielo in sogno.

Emma

Ho l’insonnia e il mio cuore batte sincopato seguendo qualche nuovo personale ritmo jazz. Oppure semplicemente la pizza tonno e cipolle. Tu forse stai nascendo; Gennaia come mi avevi detto; sorella di mio figlio, ma estranea alla mia carne. Sai io sto aspettando il tuo viso bebe’ e il tuo corpicino ritto e impuntato. Ti amo perche’ tuo fratello ci unisce. Ma non so che siamo perche’ non c’e’ termine che ci definisca; agli occhi di tutti noi siamo niente. Ma tu sei venuta a trovarmi tanti anni fa e forse la’ indietro nel tempo ho iniziato ad amarti. Ben venuta al mondo piccolina.

Attrazione

Lui era giovane, lei non così giovane. Quasi due lustri li dividevano. A cena lui prese la mano di lei e le disse: “Sei proprio una bella persona”, lei sorridendo gli rispose: “allora vivimi…” e’ così che si avvicinarono, anche se, in realtà, la chimica aveva già scritto il loro immediato futuro. Gironzolando per il borgo, lungo quella stradina diroccata, proprio dove c’è il lampione giallo, lui la baciò. Fu uno dei baci più lunghi che lei avesse mai ricevuto, forse fin troppo lungo perché’ lei, ad un certo punto, si scoprì a pensare quanto molesta fosse la luce del lampione negli occhi. Le venne voglia di girarsi per tornare a concentrarsi sul bacio di lui, ma era in bilico su quei ciottoli che litigavano con i suoi tacchi, così non si mosse per non far ruzzolare entrambi nel vuoto e passò il resto del bacio, che proprio non voleva finire, ad amare lui e odiare il lampione giallo. La serata lasciò il posto alla notte. Una notte rara, perché raro fu l’incontro di quei due corpi estranei. In queste occasioni possono avvenire diversi tipi di scambi amorosi; quello tragico dove entrambi pensano; “ ma dove mi sono cacciato”; oppure quello unipersonale dove uno vede le stelle e l’altro non vede l’ora di andare. Poi c’è quello monorgasmico dove e’ bello per entrambi, ma poi bisogna essere dei chiacchieroni per riempire il tempo che avanza. C’è quello pluriorgasmico che assomiglia al precedente, ma ha la proporzione dei tempi al contrario ed il livello di piacere leggermente più alto ed, in ultimo, c’è l’ amore che rapisce. Questo trascina lei in uno stato continuo d’orgasmo, dove ciò che cambia e’ l’intensità del momento così, alla vista, possono sembrare multiple conclusioni, ma, in realtà, e’ solo una notte che sale e scende dentro allo stesso piacere che mai si interrompe. Lui, creatore del godimento continuo di lei, si perde ed arriva a sentire cosa significhi estasi. Quando questo accade si finisce la notte dormendo abbracciati. Loro al mattino si svegliarono sentendo l’uno l’abbraccio dell’altra. Che fare? Le loro menti si erano sganciate dodici ore prima, ma ora tornavano fredde a lavorare. Lui decise: che sì, ma che no. Lei decise: vediamo. Continuarono a incontrarsi per un poco, poi lui iniziò a negarsi finche’, un giorno, sgattaiolò via senza dirle nemmeno una parola, un pochettino come fanno i ladri quando se ne vanno alla chetichella con il bottino; lei continuò semplicemente a guardare.
Quel magico incontro di una notte finì, tempo dopo i fatti descritti, con le seguenti frasi su whattsup: lei: “non mi piace quando le persone spariscono senza degnarsi di dirti qualcosa e salutarti” lui: “ non mi piace come si e’ evoluta la situazione. Tutto qui.” Lei: “ Nemmeno a me. Tutto qui.” Lui: ”mi dispiace.”
Lei poi pensò: “uomini….non ce ne e’ uno con le palle….” Lui invece pensò: “ donne….che due coglioni….”
….questo e’ il sesso ai tempi nostri…
Allora a me viene in mente D’Annunzio che cento anni fa amava le donne e poi ci creava romanzi.