Incontro all’angolo di Porta Venezia
Questa è una storia che accade ogni mattina, allora più che storia andrebbe chiamata cadenza. È la cadenza tra due donne che, da anni, si sfiorano. L’una appartiene al mondo gitano, porta sul volto i tratti della vita all’aperto, è difficile darle l’età, ma gli anni sono sicuramente molti. Siede all’angolo delle due vie, tra le più eleganti di Milano, accovacciata nei suoi gonnoni su un piccolo sgabello che scompare sotto al suo corpo grosso. La testa è ogni giorno coperta da un fazzoletto triangolare, chiaro nei colori, e non sempre pulito; il corpo è fasciato da quelle lunghe gonne accese, in velluto, che non cambiano mai, nemmeno nell’arsura di piena estate. L’altra è alla vista più giovane, veste alla moda italiana, porta jeans e stivaletti, ma anche gonne dalle varie lunghezze e scarpe coi tacchi. I suoi vestiti cambiano ogni giorno così pure il suo aspetto ed il suo capo è raramente coperto. Ciò che invece non cambia mai è la borsetta ed il giaccone invernali, per i quali ha sicuramente una particolare predilezione. La gitana non parla italiano, l’italiana non parla gitano. Si incontrano sempre di prima mattina, quando le strade sono ancora deserte. Anni fa era solamente un passare davanti ad una straniera accovacciata, ma la cadenza con cui ciò accadeva ha costretto le due donne a notarsi e riconoscersi. Così per lungo tempo fu semplicemente abbozzata una specie di smorfia che pareva un sorriso da parte di entrambe. Era un poco un vorrei, ma non posso. Poi la cadenza divenne così costante che non fu più possibile ignorarsi educatamente. Probabilmente le loro culture, tanto lontane anche se vissute nello stesso luogo, hanno entrambe il seme dell’educazione che passa attraverso il riconoscimento di un essere umano che ti vive accanto. La smorfia divenne un aperto sorriso. Era un sorriso buongiorno perché avveniva così presto la mattina; credo che, per entrambe, sapesse di caffè. Il sorriso durò più di un anno. Un sorriso al giorno, poi più nulla. Ma quando i sorrisi diventano abitudini hanno il potere di scardinare distanze e quei due sorrisi l’hanno scardinata la distanza tra etnie. L’italiana, cresciuta in un mondo di parole, un giorno ha accompagnato il sorriso con un “buongiorno”, ricevendo in cambio il solito sorriso gitano. Pronunciato il saluto una volta, è per cultura impossibile tornare indietro, così il sapore di caffè fu sentito non solo in un gesto, ma anche in una parola. La cultura gitana, probabilmente, è molto più diffidente perché a lungo non vi fu risposta al buongiorno; poi, quel profumo intenso di mattina forse divenne irresistibile e al buongiorno italiano iniziò a seguire uno strano movimento del capo gitano, una muta risposta; così per parte italiana il buongiorno divenne un “buongiorno signora”. Ma la gitana un giorno sparì ed a lungo l’angolo perse i variopinti colori. L’italiana notò l’assenza e spesso sperò, girando l’angolo che fa entrare alla piazza, di riuscire a sentire di nuovo quello strano profumo al caffè parlato e ammiccato.
In una giornata di cielo blu, la donna gitana fu di nuovo al suo angolo e non appena l’italiana girò le strade, si aprì in un grande sorriso, e poi … parlò. Disse parole nella sua lingua natale, sorde all’orecchio italiano anche se profondamente gradite. La bocca gitana non smise il soliloquio e, da allora, pronuncia ogni giorno parole dai suoni diversi e incomprensibili. Spesso li accompagna con movimenti delle mani che si uniscono e dividono a sottolineare quelle parole sconosciute. La donna Italiana rallenta in modo che la gitana abbia agio a parlare e finire, ma ancora non ferma il suo passo. C’è il tempo per un sorriso, un buongiorno e parole che formano frasi ignote, tanto l’italiana trascina l’istante di un passo. La cadenza mattutina dell’andare rallentato a contenere sorrisi, gesti e parole rare è diventata l’abitudine tra le due sconosciute così lontane per vita. Questa è la storia che accade ogni giorno all’angolo delle due vie tra le più eleganti della città.