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Tramonto

Il Sole è un gran lavoratore, impegnato in millesimali mansioni. Sale e scende le scale della sua reggia più volte al giorno perché, data l’età, è un dimenticone e non ha mai con se’ ciò che al momento gli serve. S’accende di luce quando è felice e si spegne infastidito, raffreddando ogni cosa, quando ricorda di aver lasciato gli occhiali al piano di sotto. E’ un astro alquanto preso dal suo lavoro e poco lascia alla propria cura. Pur essendo radioso e splendente non bada tanto alla sua bellezza diffusa perché, a ben guardare, a nulla serve per ciò che deve creare. Ma c’è una cosa che da millenni non riesce a non fare quando scende le scale della sua stanza sopra Albarella. Lui si guarda riflesso nell’ acqua della laguna, suo personale specchio da tavolo, e nota il suo cerchio perfetto, il suo colore giallo rossiccio e il fatto di essere bello da far risplendere ogni cosa a lui prossima. Vede se stesso riflesso dentro ad un mondo a lui estraneo, che poco conosce, ma che tanto apprezza per la bellezza. E’ un mondo fatto di terra bagnata, di aria e nubi e, di lontano, gli par pure di scorgere costruzioni in mattoni che paiono case dai mille colori che nulla hanno però a che fare con la sua dimora regale. Lui pensa sian case, ma non ne’ è molto sicuro. Quindi, ogni volta che scende tal scala, volendo capirne di più di quel mondo riflesso, accende la sua corona di raggi rossi che spinge come tentacoli in aria a tastare tanta affascinante diversità. E’ in quel momento che il mondo riflesso dentro al suo specchio risponde tratteggiando a pennarello le proprie forme così da farsi meglio vedere dal suo astro vicino. Chi ha la fortuna di vivere dentro a quelle sagome gode allora di uno spettacolo doppio: vedere la propria dimora mostrare esaltata la più sottile linea di se’ e vedere il Sole allungare il collo per carpire e trattenere quanto di marginale, ma profondamente maestoso il suo mondo vicino gli offre alla vista nel suo specchio da viaggio mentre scende al piano di sotto.

Venezia

Venezia, a volte, scivola sul pavimento di pioggia che ha dimenticato di cadere dall’alto e scompare alla vista mentre piccole gocce bagnate svaporano in coriandoli bianchi le pietre ed i merletti da secoli sponde delle sue acque salmastre. Un silenzio fermo, rigido, grigio e bagnato racchiude i colori delle non lontane stanze satolle di legni dorati e poltrone di stoffa. Quando la nebbia scende ad abbracciare le acque ruba la voce della città e poi, non sazia, trasforma le forme in ombre che i lampioni tingono di bianco o di giallo. Se ti trovi per caso a camminare dentro a quel tripudio scolorito e monotono ove solo la memoria dà un volto alla vita, capisci perché questa è la città delle maschere. Non i colori, non le espressioni, ma solo i contorni restituiscono il senso quando i palazzi chiudono l’uscio per lasciare alla laguna e alla nebbia l’intimità di partorire nuove geometrie alla città. Ma tu sai che nel nulla la vita esiste sui suoi canali e sulle sue fondamenta e sai che il tuo piede sta sfiorando quel manto bagnato che, come un tappeto persiano, copre le calli e allora cammini dentro alla città che non c’è lasciando che la fantasia affianchi il tuo piede a dar forma a ciò che la nebbia di laguna ha portato via con sé e non vuol restituire. E così è carnevale anche se sei a capo dell’anno….

Laguna

Andar per palafitte è cosa rara in questa epoca. Ma le terre di laguna han fatto di tal pali privata fondamenta. Così accade d’incontrarli in ogni dove. Essi popolan le acque, vergini di sale, a mezzo busto asciutto e a mezzo busto viscido di alghe e ruvido di gusci. Aspettano il tramonto per ricordare all’uomo il limite infinito dell’orizzonte vuoto. Scope di navigazione e pali da coltivazione custodiscono nel legno la vastità del mare e la forza del lavoro. L’occhio vi si appoggia per riprendere il sospiro quando la bellezza, scritta col bagnato, trattiene il fiato umano. Il dialogo tra i legni, sconosciuto a orecchio assente, fa da contrappunto al canto delle acque. Ma è il silenzio che emoziona per l’insieme dei due suoni e a noi non resta altro che sostare in quel profumo di salmastro.