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Talento

Ci sono molti modi per celebrare dedizione e talento. Ognuno sceglie quello che sente più proprio. Lei aveva imparato ad apprezzare la calma ed il silenzio che le pareti d’oro della piccola stanza sapevano crearle attorno quando vi si rinchiudeva a lavorare, così decise di celebrare suo figlio con il lavoro più lento e tranquillo che conoscesse. Lei lo cucì! Si cucì suo figlio mentre faceva virare il suo Laser sotto rollio. Fermò uno degli attimi più lenti che la vela conosca subito dopo l’assenza di vento. Lo cucì mentre Lui, in regata, con i colori della sua squadra, sbandava lo scafo per raccogliere tutta la propulsione che il legno sa nascondere nella sue fibre e guadagnarsi così preziosi secondi in accelerata. Pensò che quella manovra, studiata per anni, fosse perfetta per il suo esercizio di pazienza con ago e filo. Pensò anche che in quella posa suo figlio fosse bellissimo e mostrasse tutta la grazia e la potenza di quello sport che tanto amava e che ora aveva dovuto sospendere per un piccolo infortunio al piede. Così Lei fermò la sua immagine nella stoffa ad avvolgerlo nelle serate di freddo quando la coperta, una volta finita, lo avrebbe scaldato. Per allora la caviglia sarebbe guarita e Lui avrebbe potuto tornare alle regate dimenticando la virata nella stoffa sul divano, ma Lei invece guardandola si sarebbe ricordata che cosa passione, dedizione e pazienza sanno creare.
Oggi però la squadra, senza Valerio, parte per Arco dove l’aspettano dieci giorni di mondiali. Buon vento ragazzi, io e Valerio siamo li con voi con il cuore.
Siate forza ed eleganza.

Se tu mi invitassi a ballare

Se tu mi invitassi a ballare sceglieresti una musica rotonda, per rendermi il centro del tuo universo; lenta, per respirarmi a fondo; ridondante, per ripetere ogni reazione dei sensi. Cattureresti i miei occhi con quello sguardo che chiede perché non altro sguardo avresti per me, e mi diresti: “posso?” tendendomi la tua mano. Io ci appoggerei dentro le dita ricambiando il tuo sguardo e, senza rispondere, mi lascerei portare. Avvicinerei il mio corpo al tuo e lascerei a te il primo moto. Le note mi entrerebbero giù fin nelle ossa e, presa, muoverei i miei piedi seguendo i tuoi passi. Il mio corpo, avvicinandosi, passerebbe la tua soglia sensibile e il tuo respiro si farebbe un poco più corto mentre i tuoi occhi diventerebbero trasparenti ai miei. Insieme ci muoveremmo godendo dell’armonia di due esseri che ballano l’uno nelle braccia dell’altro. Zitti, perché altro sarebbe il nostro dialogo. Se solo tu mi invitassi a ballare….

Il Vallecetta

Lei aveva la montagna nei piedi, le si era incastrata nelle dita molti anni fa quando era poco più che bambina. Per anni, d’inverno, quando la coltre di neve copriva prati e rocce, ogni singolo punto di quell’universo bianco aveva lasciato il suo gusto dentro ai movimenti di lei, così oggi quando le capitava di parlare di quei luoghi in realtà lei poteva solo raccontare di quell’ incredibile intesa che muri e dossi avevano creato con il suo corpo. Lei era in grado di sciare ovunque, ma in nessun luogo provava quel senso di appartenenza che sentiva scendendo da queste piste. Aveva provato a passeggiare nei medesimi luoghi in estate, ma la montagna le era molto più estranea. Solo in inverno si incastrava in quel modo con i suoi piedi. Così, oltre al piacere di sciare qui c’era anche l’amore per il luogo. Un amore dato dalla profonda conoscenza che nasce, a sua volta, dalla lunghissima frequentazione. Il suo era un amore familiare; non l’aveva scelto, ci si era trovata dentro e in esso era cresciuta. Quando fu tempo che suo figlio mettesse gli sci ai piedi, lei lo portò a conoscere la montagna. Gliela presentò come i suoi piedi la conoscevano. Non era venire giù elegantemente da un muro, era godere nel scendere dal muro del tremila, proprio quello li’ che chiedeva sì capacità tecnica per non ammazzarsi, ma soprattutto apertura mentale per giocare, poi, con i due larghi dossi che, a fondo discesa, potevano farti volare o fermare. Non era solo scegliere se correre giù lungo l’asperità della Sant’Ambrogio a capofitto o preferire il panettone sorgente della Praimont; era anche sapere in anticipo, solo guardando neve e montagna, quando il panettone sarebbe stato più una pietraia che una pista. Non era solo godersi la parte finale nel bosco della Bimbi al Sole, ma sapere quali curve stringere per far si che fosse la montagna a spingerti lungo l’altopiano invece di dover racchettare e sudare da te. Non era solo scegliere gli Ermellini per evitare i lastroni rapati della Stella Alpina; era anche scegliere le sue morbide forme per il gusto di rendere perfette le curve senza esasperare il lavoro di gambe. Oppure scegliere l’Isabella proprio per intensificare il loro movimento ed affinare il gesto tecnico usando le sue incalzanti cunette. Il bimbo cresceva imitando la madre curva dopo curva, poi anticipando la madre curva dopo curva. Un giorno lui si staccò da lei dicendole ti aspetto giù. Lei lo guardò scendere e capì che la montagna ora era anche dentro ai piedi del figlio. Lo capì perché nei suoi movimenti c’era molto di più che l’armonia del gesto tecnico; c’era disponibilità ad ascoltare la montagna e ad assecondarla per trovare insieme un più profondo piacere. Da quel giorno, la madre seppe che i due si sarebbero frequenti anche da soli. Oggi lei, ferma per una convalescenza, guardava dal basso il ragazzetto scendere le piste con la montagna nei piedi, la perizia negli arti ed un profondo sorriso negli occhi nato da quel connubio perfetto.

Passione

Questa e’ la storia di un sentimento che non doveva diventare esperienza per non essere consumato e perso. Aveva visto troppe volte se stessa sporcata da mani inadatte che avevano preso i suoi più intimi impulsi appiattendoli in gabbie mentali a lei estranee. Ed era stanca. Sapeva, per pratica, che trasformando in realtà le proprie passioni sarebbe stata rosicchiava fino a essere resa sterile di vita. Così decise un fare diverso. Passava in macchina su quella strada da anni quando, un giorno, la sua attenzione fu attirata da un uomo che le sorrise fermo nel senso contrario. Lei per gentilezza rispose al sorriso alzando lo sguardo fin nei suoi occhi e sentì, in un istante, tutto ciò che sarebbe stato. Lo contemplò, godendo di quel colloquio viscerale che in un momento secondo era nato tra loro. Rispondeva al dialogo parlato senza badare troppo alle parole pronunciate di lui perché i suoi sensi erano tutti occupati dalla forza attrattiva appena nata tra i loro corpi. Poi fu ora di andare; mise in marcia e sparì nella foschia delle mattine di campagna con il corpo saturo di piacere incastrato in ogni singola cellula come sempre le accadeva quando una passione partiva. Si rincontrarono per giorni sempre sulla medesima strada al medesimo stop; e, per giorni, le loro molecole si infiammarono mentre i loro corpi parlavano mentre le loro bocche conversavano. La passione un giorno esplose producendo una reazione nucleare a catena dentro di loro e non fu più possibile non toccarsi. Lui la invitò. Lei allora si sporse e lo baciò appassionatamente ed a lungo. Si prese tutto quello che c’era; poi gli sorrise e gli disse: “No!”. Per la prima volta da quando lo conosceva mise attenzione nel dialogo parlato e tolse tensione ai sensi; ingranò la marcia, gli sorrise di nuovo e sparì. E’ cosi che si tenne la passione intatta e non la incastrò nella loro piccolezza umana. Infatti, da quel giorno, per molto tempo in avanti, ferma a quello stop lei visse ogni singolo stato intimo che il corpo di lui aveva generato in lei, lo fece da donna libera di essere se stessa; poi la memoria sbiadì e lei lo dimenticò, ma continuò a serbare dentro di se’ una traccia incarnata del loro desiderio.

Passione

L’occhio sfiora il lenzuolo blu ramato a bianco. Tra le sue pieghe vive nascosta l’improvvisa sensazione di quel corpo nudo che sfama la carne non paga. I piedi affondano nella pozza bagnata dalla sorgente di ogni voluttà. E’ un ricordo che spinge all’abisso e non c’è fune. Ancora.