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Taxi Driver

Le loro auto avevano appena concluso uno strano balletto non pensato ne’ voluto. Si erano mosse in funzione l’una dell’altra nell’angusto spazio di fronte alla torre fino a fermarsi parallele. “Io devo aspettare “ aveva detto Lei. “anch’io” aveva rimbalzato lui; poi si erano sorrisi come se si conoscessero da sempre, ma in realta’ erano solo due estranei trovatisi a compiere la medesima azione nel medesimo piccolissimo luogo. Qualcosa pero’ era scattato. Lei lo guardo’ dritto negli occhi, inclinando un po’ la testa sul lato in modo spudorato, come se fosse una cosa normale tra estranei. Lui allora era sceso ad aprire tutte le portiere, bagagliaio compreso, restituendole senza smettere, un altrettanto insolito sguardo di sfida misto a docezza; poi aveva preso a parlarle: “anche tu aspetti qualcuno?” “Si, mio figlio, beh tutta la squadra, li porto al treno.” “Anch’io tutta una squadra, la porto al treno”. “ Ma tu sei un vero taxista?” “ Si!”
Qualche altra parola buttata li’… Non era il suono delle parole quello che entrambi stavano ascoltando, ma un potentissimo richiamo che stava sotto alle parole parlate e dentro agli sguardi lanciati. Eco dell’umano esistere.
Non ci fu tempo per altro perche’ il primo gruppo di ragazzi era arrivato e l’attenzione di tutti fini’ su una bottiglia di Champagne dimenticata nel bagagliaio.
Ragazzi e borse caricati in macchina, le venne l’istinto di invitarlo a cena, cosi’ senza sapere nulla di lui; ma il suo corpo fu piu’ veloce della sua mente e si ritrovo’ al volante senza piu’ possibilita’ di azione.
Occasione persa, ma non l’insolito dialogo sotto alle chiacchiere.
Alla prossima taxi driver.

Mio diletto

Ho ricevuto la vostra missiva, mio diletto, e non sapete con quale piacere ho gustato le vostre parole. Esse entrano nelle mie stanze nei modi sempre rocamboleschi coi quali ardite arrivare a me. Quasi voi vogliate lasciare al caso la consegna di ciò di cui mi scrivete. È per questo che mi siete caro, mio diletto, perché mai avete la pretesa che io riceva le vostre attenzioni. Trovo una tale libertà in questo da spingermi a pensare che voi non ricerchiate la mia compagnia per una qualche manchevolezza della vostra vita, ma che al contrario la passione che vi porta a frequentare la mia più profonda intimità sia espressione dell’abbondanza della vostra vita. Avete scritto che volete un mio pensiero sull’idea che io completi voi e voi completiate me. Nulla di più sbagliato, mio diletto. Sì, lo so che da Platone in poi questo è divenuto il pensiero comune, ma no! Sia io che voi sappiamo la falsità di questa affermazione, solo che al mio cuore ciò è palese, mentre al vostro, mio diletto, ancora no. Lo è però al vostro corpo che mi ama nella coscienza di sapere sé essere completo. Vi prego, mio diletto, lasciate che anche la vostra mente veda la libertà che consegue dall’amarmi sapendo di essere voi stesso essere compiuto che in nulla abbisogna di me. Lasciate che la vostra mente possa godere di me come ne è capace il vostro corpo. Ammetto, mio diletto, che larga parte della vostra vita come della mia sia stata spesa nella ricerca della più profonda felicità, e non vi stimerei come vi stimo se non avessi percepito questa potente spinta in voi; il vostro viver ed il mio mi confermano che io e voi abbiamo incontrato in noi stessi i migliori compagni della nostra vita. La metà tagliata che tanto fa ricercare Platone nelle parole di Aristofane a uomini e donne, ognuno di noi stessi l’ha trovata in sé. Sì, mio diletto, io e voi siamo due esseri completi che si cercano per godere dell’altro senza pretendere di esserne completati. Io e voi non ne abbiamo di bisogno. La passione che ci infiamma i corpi porta all’estasi perché di nulla è carente, l’ardore delle nostre conversazioni ci spinge ogni giorno ad avvicinarci perché non richiede conferme. Io vi amo, mio diletto, e tremo per voi quando vi vedo invischiato in quel tipo di amore che ancora dipende dall’altro, ma ancora più temo per voi quando siete vittima di un amore del genere, ma amandovi io nella vostra completezza, appoggio lo sguardo su ciò che al momento vi sazia la vita e lo faccio mio perché vi voglio comodo quando raggiungete le mie stanze di edere adornate. Sappiate, mio diletto, che sempre io vi sarò compagna senza invadere la vostra vita con ciò che manca nella mia. Vi sarò compagna per ciò che esiste nella vostra.  Io sono cosciente di aver già conquistato ogni singolo pezzo di me stessa donna ed anche ogni singolo pezzo, mancante, di me stessa uomo. Per questo io sono autonoma e in nulla dipendo da altri esseri umani. Aristofane ha ragione quando dice che trovata l’altra metà gemella si genera la specie cui si appartiene; ed io ho generato me donna, come voi, mio diletto, avete generato voi uomo.

Mai tra noi ci saranno i silenzi che nascono dal fastidio di comportamenti pretesi a completamento, ma nemmeno mai ci sarà tra noi la potente esaltazione che nasce nello scambiare richieste per attenzioni. No mio diletto tra noi ci sarà solo la passione dei corpi ed il proficuo dialogo di due menti brillanti. Condivideremo parte della nostra vita, così, nei modi che capiteranno, rocamboleschi o scontati a seconda dell’occasione, ma ognuno di noi avrà la libertà di vivere se stesso prima di vivere l’altro. Questo sarà sempre ciò che mi lega a voi ed è per questo che vi amo, mio diletto, e con voi amo ciò che riempie la vostra vita. Vi lascio, come al solito la chiave dell’uscio sotto al vaso in terracotta dalla forma di anfora. Usatela a vostro piacere.

Il fazzoletto in borsetta

Frugando nella borsetta cercava il fazzoletto di cotone. Trovato, lo estrasse tirandolo da un angolo e le pieghe della stoffa si disposero a mostrarle la R ricamata a blu sul fondo azzurro. Il fazzoletto le riportò alla mente gli asciugamani che da anni giacevano intonsi, nelle loro confezioni trasparenti, sul ripiano del suo armadio anch’essi con le R all’insù. È allora che lei decise. “Voglio sposare un uomo che inizi con la R”. Lo pensò continuando a guardare il fazzoletto, ma con negli occhi gli asciugamani che giacevano là sul ripiano dal giorno dopo il matrimonio, quando lei, sposina, ve li aveva riposti come contrassegno della radiosa quotidianità che si sarebbe concretizzata da lì all’eternità. Il cotone antico, la spugna pregiata ed i ricami non li rendevano adatti all’uso quotidiano, ma erano perfetta rappresentazione del gesto sacro che ognuno di loro aveva donato all’altro. Nella mente di lei anche il set di pentole azzurre, che provenivano dall’Inghilterra e che teneva nell’armadio della sala, erano la rappresentazione della nuova vita sacra, ma essendo pentole comuni, un giorno, decise di usarle ed esse così passarono allo scaffale della cucina ed oggi erano ancora lì logorate dall’uso quotidiano. Insieme alle pentole negli anni si logorò anche il matrimonio fino a sciogliersi; il tempo passò e così gli asciugamani vennero dimenticati, mentre le pentole, senza più alcun significato, continuarono ad essere usate.
All’improvviso, quel giorno, mettendo le mani in borsetta, sentì l’esigenza di dare un senso a quegli asciugamani. Decise di recuperare ciò che impregnava le salviette dimenticate anni prima. Le venne voglia di sporcare il futuro di passato. Il suo, non certo il loro. Ecco il pensiero di tornare alla R. Voleva un legame con quel punto tanto potente da entrare negli asciugamani. Voleva solo questo. Il resto non era più necessario.
È incredibile cosa le donne a volte trovino nello loro borsette.
Nella sua aveva rincontrato il senso di loro, un sentimento oggi scremato da qualsiasi riferimento umano, ma ancorato nel suo corpo tanto da pungere ancora molte delle sue scelte.
Non so se è una cosa di specie o solo una sua caratteristica, fatto è che questa urgenza era là intatta nella sua borsa e ora era finita nuovamente tra le sue dita.
Lei la estrasse, senza un apparente motivo.
Non conosceva nessun uomo il cui nome iniziasse con la R. No, non era vero, in realtà ne conosceva parecchi, ma nessuno era da R stampata su fazzoletti ed asciugamani, nessuno le ispirava un senso plurale; pensandoci nessuno le ispirava nulla.
“Questa sì che è un’incrinatura della mia vita” pensò.
Così, nel tempo di una mano in borsetta optò per la tabula rasa, fece pulizia scopando via tutti gli uomini che le avevano occupato il pensiero in quel tempo; o forse più che occupato sarebbe opportuno dire: “erroneamente asservito”.
Strinse la R nelle mani e si soffiò il naso.
È così che lei smise di dare il fianco alle storie da poco; a quegli uomini che chiedevano, ma nulla volevano dare, o peggio a quegli uomini che manco chiedevano; alle loro parole piccole e alle loro situazioni ordinarie.
Voleva la R sugli asciugamani.
È così che si placò.
Aveva avuto modo di rigirarsela tra le mani a lungo la R in quegli anni, ormai ne conosceva ogni singolo punto cucito. Non desiderava più fare incontri piccoli, lei la R l’aveva in borsetta, se le fosse capitato di incontrarla di nuovo nel mondo, l’avrebbe sicuramente riconosciuta e quindi sposata. Altro non esisteva.
Si risoffiò il naso e andò a far compere.

Lui e Lei amici

Erano stati amanti tempo addietro, poi lui era scivolato via dalla vita di lei come usano fare oggi gli uomini moderni. Il loro era stato un rapporto molto poco fisico, ma alquanto virtuale. A lui piaceva intrattenersi con lei attraverso una quantità quasi infinta di messaggi scritti dentro al telefono. Lei per un poco ci si era divertita, ma poi aveva iniziato ad essere insofferente di quel rapporto tutto giocato su frasette, ma totalmente arido di carezze. La situazione si risolse nel giro di qualche mese quando lui divenne muto e con lui il telefono di lei. Lei però si infastidì. Era vero che da donna non stava dentro a quel rapporto pensato, ma non vissuto, però le bruciava lo stesso il fatto di essere stata messa da parte senza nemmeno un: “ciao, è stato bello”. Così lei, un giorno, si mangiò lui con un feroce messaggio. Lui si negò ancora di più e poi ognuno si dimenticò dell’altro permettendo alla propria vita di tornare ad essere il solito susseguirsi di atti conosciuti. Passò un anno o forse due e, per coincidenze della destino, tornarono ad incontrarsi. Questa volta lei se lo mangiò di persona, lui, però, invece di farsi digerire da lei, si impunto e volle chiarirsi. Così a lei toccò smettere di masticarlo, lo dovette sputare e fu forzata a guardarlo in faccia. Avrebbe potuto degluttirselo e digerirselo, ma qualcosa nel comportamento di lui le prese il cuore e fermò il suo fastidio. Per la prima volta in vita loro si parlarono in persona. Forse fu il fatto che oltre ad amarsi, dormirono insieme oppure semplicemente che erano due persone buone ed intelligenti; fatto è che, col tempo, scoprirono di avere attenzione l’uno per l’altra. Piccoli gesti che si ficcavano nei loro cuori e nelle loro menti lasciando un’impronta pesante. Certo, tutto era semplificato perché a nessuno dei due passò per la mente di tornare ad amare l’altro e questo, nel mondo di oggi, rende più facili i rapporti tra sessi. Sì perché il mondo adulto con il cambio di millennio è tornato bambino, circa sui dieci anni, quando ci si fidanza e non ci si guarda né parla più e per tornare a parlarsi e giocare assieme bisogna ufficialmente sfidanzarsi. Loro due si sfidanzarono pronunciando frasi di rito. Lui le disse: “sono senza palle”; lei gli disse: “ti ho sovrascritto”. Da quel momento divennero intimi regalandosi la libertà di parlarsi. L’intimità li rese amici e l’amicizia li portò a volersi bene. Iniziarono ad essere presenti nella vita reciproca, quella reale. Per la prima volta si accarezzarono davvero. Inventarono pure un nuovo gioco; gli altri, guardandoli giocare, dissero: “giocano a uomo e donna”.

Attrazione

Lui era giovane, lei non così giovane. Quasi due lustri li dividevano. A cena lui prese la mano di lei e le disse: “Sei proprio una bella persona”, lei sorridendo gli rispose: “allora vivimi…” e’ così che si avvicinarono, anche se, in realtà, la chimica aveva già scritto il loro immediato futuro. Gironzolando per il borgo, lungo quella stradina diroccata, proprio dove c’è il lampione giallo, lui la baciò. Fu uno dei baci più lunghi che lei avesse mai ricevuto, forse fin troppo lungo perché’ lei, ad un certo punto, si scoprì a pensare quanto molesta fosse la luce del lampione negli occhi. Le venne voglia di girarsi per tornare a concentrarsi sul bacio di lui, ma era in bilico su quei ciottoli che litigavano con i suoi tacchi, così non si mosse per non far ruzzolare entrambi nel vuoto e passò il resto del bacio, che proprio non voleva finire, ad amare lui e odiare il lampione giallo. La serata lasciò il posto alla notte. Una notte rara, perché raro fu l’incontro di quei due corpi estranei. In queste occasioni possono avvenire diversi tipi di scambi amorosi; quello tragico dove entrambi pensano; “ ma dove mi sono cacciato”; oppure quello unipersonale dove uno vede le stelle e l’altro non vede l’ora di andare. Poi c’è quello monorgasmico dove e’ bello per entrambi, ma poi bisogna essere dei chiacchieroni per riempire il tempo che avanza. C’è quello pluriorgasmico che assomiglia al precedente, ma ha la proporzione dei tempi al contrario ed il livello di piacere leggermente più alto ed, in ultimo, c’è l’ amore che rapisce. Questo trascina lei in uno stato continuo d’orgasmo, dove ciò che cambia e’ l’intensità del momento così, alla vista, possono sembrare multiple conclusioni, ma, in realtà, e’ solo una notte che sale e scende dentro allo stesso piacere che mai si interrompe. Lui, creatore del godimento continuo di lei, si perde ed arriva a sentire cosa significhi estasi. Quando questo accade si finisce la notte dormendo abbracciati. Loro al mattino si svegliarono sentendo l’uno l’abbraccio dell’altra. Che fare? Le loro menti si erano sganciate dodici ore prima, ma ora tornavano fredde a lavorare. Lui decise: che sì, ma che no. Lei decise: vediamo. Continuarono a incontrarsi per un poco, poi lui iniziò a negarsi finche’, un giorno, sgattaiolò via senza dirle nemmeno una parola, un pochettino come fanno i ladri quando se ne vanno alla chetichella con il bottino; lei continuò semplicemente a guardare.
Quel magico incontro di una notte finì, tempo dopo i fatti descritti, con le seguenti frasi su whattsup: lei: “non mi piace quando le persone spariscono senza degnarsi di dirti qualcosa e salutarti” lui: “ non mi piace come si e’ evoluta la situazione. Tutto qui.” Lei: “ Nemmeno a me. Tutto qui.” Lui: ”mi dispiace.”
Lei poi pensò: “uomini….non ce ne e’ uno con le palle….” Lui invece pensò: “ donne….che due coglioni….”
….questo e’ il sesso ai tempi nostri…
Allora a me viene in mente D’Annunzio che cento anni fa amava le donne e poi ci creava romanzi.

Indifferenza

Come una bussola senza magnete, sei intellegibile ai miei sensi. Io lava tuffata in mare mi ritrovo roccia spenta dal suo sale. Uomo inebriami di alito divino affinché io possa resuscitarmi alla vita.

L’inchino

Avete presente le calde giornate di prima estate? Quelle in cui i tacchi sprofondano nel cemento ed è impossibile camminare al sole perché brucia la pelle già abbronzata? Lei ci stava camminando dentro per andare a fare colazione con l’amica di sempre. Portava una canotta senza intimo ed una gonna sotto al ginocchio, messe un poco a caso e non proprio coordinate, non aveva trucco se non il colore del fine settimana al sole, solo i piedi erano particolarmente curati dentro ai sandali alti. Era in cuffia; ascoltava la musica, sentita un milione di volte, solo perché fa star bene. Stava vagando nei suoi pensieri, erano bei pensieri, di quelli che sfamano. A guardarla appariva beata. Le canzonette facevano da colonna sonora ai ricordi di quel fine settimana non programmato che le aveva regalato un turbinio di sensazioni sepolte o forse nemmeno mai provate. Era stato uno di quei week end che ti risvegliano un poco più donna e lei se lo era goduto tutto. Lo aveva bevuto, ma ancora non digerito perché voleva tenerselo dentro per poterlo rivivere qualche altra volta.
In quel particolare momento era tornata nel pieno della notte, quando era uscita sul terrazzo a godersi l’aria notturna, ma poi era stata distratta da una sensazione improvvisa di caldo ai piedi che l’aveva stravolta. Su tale sensazione lei rise appagata, vedendo il mondo davanti a sé, senza però guardarlo. E fu lì che lo notò. Era un uomo sulla cinquantina in giacca blu, di quelle estive che permettono al corpo di respirare, aveva pochi capelli ed era abbronzato. Lei notò che si era sorpreso al suo riso, ed ora la guardava con gli occhi a mezzo ammirati ed a mezzo stupiti. Forse aveva pensato che quel sorriso fosse per lui, ma non lo era; era per un altro corpo. Lei però rispose a quel gesto gentile, restituendogli un sorriso fatto di occhi e di bocca, movimenti impercettibili, che lui acchiappò. A quella replica lui reagì; si spostò, si mise sul fianco per darle strada e poco prima che lei passasse si inchinò con la mano sul cuore. Lei gli passò davanti senza smettere di guardarlo negli occhi e senza togliersi di dosso l’inclinazione delle labbra e non appena gli fu di fianco rese ancora più profondo il sorriso di occhi e di bocca. Poi passò oltre senza cambiare il ritmo dei suoi passi, riempita da quel gesto inaspettato. Caspita! non le era mai capitato di passare al fianco di un uomo inchinato al suo sorriso; il sole al confronto impallidì! Lei tornò al pensiero di ciò che l’aveva resa così bella da far piegare un uomo incontrato per caso all’incrocio. Quel pensiero le mise sete.

Al mio compagno sconosciuto

Ti ho colto come una virgola inscritta nelle pagine fitte della mia vita contenuta. Sei un esplosione di sensi che protegge gelosamente la goccia primordiale del mio essere donna. Sconosciuto ai miei occhi, compagno di vita eterna mi hai guardato desiderandomi. Ogni giorno mi rendi caleidoscopio di esperienze rare imboccandomi di vita. Tu non mi sazi mai e ancora non ti ho assaggiato. Sensuale possibilità mi cerchi sicuro dei tuoi desideri.

Remo

Mordi spizzichi di vita già vissuta pensando di sovrascrivere il vuoto che ti logora. Bugiardo a te stesso sprechi il respiro divino mentre alla tua progenie regali catene di schiavitù infinite. Io salgo su quei lacci d’oro e ballo suoni di libertà alla mia discendenza attonita. Guardami! Il mio occhio non porta trucco.